Il Tirreno

Empoli

L'emergenza abitativa

Empoli, mamma sotto sfratto al Comune: «Datemi quella casa popolare vuota, la ristrutturo io»

di Sara Venchiarutti
Nella foto il terrazzo di uno degli appartamenti in via Caduti di Cefalonia ridotto a una discarica
Nella foto il terrazzo di uno degli appartamenti in via Caduti di Cefalonia ridotto a una discarica

Il marito ha perso il lavoro e pagare l’affitto ora è impossibile: in città sono 55 gli edifici Erp disabitati

03 aprile 2024
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EMPOLI. In teoria quello al piano terra in via Caduti di Cefalonia è il balcone di una casa che fa parte degli alloggi popolari di Ponte a Elsa. Nella realtà, denuncia con tanto di fotografia una cittadina empolese, è diventato una specie di discarica. Pannelli e pezzi di mobili, cartoni, sacchi della spazzatura, una cesta nera, barattoli e contenitori vari. Complici l’inciviltà e il fatto che il balcone si trovi sul retro, affacciandosi sui parcheggi, ci hanno buttato davvero di tutto, da rifiuti ingombranti ai più “semplici” sacchetti della spazzatura. Sulla parete, in mezzo ai rifiuti, si apre una grande finestra. Ha le persiane abbassate.

Le case vuote

Sì, quella casa popolare è vuota, chiusa da anni. Lo conferma Publicasa, che martedì 2 aprile ha anche effettuato un primo sopralluogo per vedere la situazione e iniziare ad avviare la rimozione dei rifiuti. Lì, in quel complesso residenziale, ci sono in totale tre appartamenti pubblici ancora sfitti. A Empoli invece, stando ai dati nell’ultima approvazione di bilancio a dicembre, ad oggi ci sono 55 case vuote in attesa di ristrutturazione. A fronte di un patrimonio immobiliare Erp (Edilizia residenziale pubblica) comunale di 579 alloggi. Ma ristrutturare costa. Facendo una media tra i lavori più leggeri e quelli più pesanti, la spesa per ciascuna casa è di circa 15mila euro, fa una stima Publicasa. Dall’altro lato però «è inaccettabile che ci siano case pubbliche tenute chiuse per anni, in stato di degrado, mentre le famiglie hanno bisogno di un alloggio popolare», afferma Giulia (il nome è di fantasia per tutelare l’identità dei minori coinvolti), che abita a Empoli e ha partecipato all’ultimo bando per l’assegnazione di una casa popolare. Per ora – la graduatoria è ancora quella provvisoria – «sembra che non avremo alcuna casa popolare quest’anno», aveva già raccontato Giulia a Il Tirreno. Lei e la sua famiglia – il marito e quattro figli – vivono in affitto a 750 euro al mese. Un costo insostenibile, «soprattutto da quando mio marito ha perso il lavoro». E a maggio è stato programmato il primo accesso giudiziario per lo sfratto per morosità.

La proposta

Il risultato è «che dovremmo lasciare la casa – sottolinea – senza sapere al momento dove andare». E quando Giulia passa da quella via per andare a trovare sua mamma non può fare a meno di pensare a quanto quegli alloggi servirebbero a lei, così come ad altre famiglie in difficoltà economiche. «Se le persone hanno bisogno, perché tenere chiuse queste case per anni, aumentando tra l’altro la necessità e l’entità delle manutenzioni?», si chiede Giulia. E allora ecco la proposta: «Ci si giustifica – spiega – dicendo che mancano i fondi e le risorse. Allora perché le famiglie non possono ristrutturare da sé gli appartamenti? Invece che tenerle chiuse per anni, e dando spazio a fenomeni di degrado, gli stessi inquilini possono fare la manutenzione, rimettere le case in condizioni di essere abitate, scalando poi dal canone mensile l’importo dei lavori effettuati. Almeno non si vedono appartamenti in questo stato. Fa rabbia, perché sono tante le famiglie che hanno bisogno di una casa popolare, si sentono dire che non ce ne sono e poi si vedono case ridotte in questo modo. Così come, nonostante scarseggino case grandi per famiglie numerose, è complicato fare anche dei “passaggi” di alloggi in base alle esigenze».
 

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