Vannacci, la differenza tra censura e attaccamento ai valori
Il direttore del Tirreno interviene dopo le critiche pervenute in seguito all’editoriale pubblicato sull’edizione del 5 maggio
In risposta al mio editoriale pubblicato il giorno 5 maggio sul Tirreno e dedicato all’ufficializzazione della candidatura con la Lega del generale dell’Esercito italiano Roberto Vannacci alle prossime elezioni europee, noto che da più parti è stato utilizzato il termine “censura” per stigmatizzare il fatto che Il Tirreno, d’ora in poi, parlerà pochissimo delle iniziative elettorali dello stesso Vannacci, di cui abbiamo messo in fila quelle che abbiamo definito (giustamente, lo rivendico) le “castronerie” più recenti.
Dal momento che queste ultime fanno parte dell’ossatura del manifesto elettorale del candidato leghista Vannacci e dal momento che il generale è capolista in Toscana, ci sentiamo in dovere di ricordare i valori che sono storicamente dei fiori all’occhiello della nostra regione e dei suoi abitanti. E che sono gli stessi su cui vuole fondarsi quotidianamente l’attività giornalistica del nostro quotidiano: la solidarietà verso i più deboli, l’affermazione dei diritti basilari e l’appello convinto alla massima inclusione. Questa è la bussola nelle mani del direttore del Tirreno e non è certamente la medesima di Vannacci. E i toscani lo devono sapere, ai toscani Il Tirreno lo doveva spiegare chiaramente.
Chi ci accusa, inoltre, di essere l’organo di stampa del Pd dimostra evidentemente di non leggere il nostro giornale. Proprio nell’edizione del 5 maggio un’intera pagina era dedicata all’intervista alla candidata leghista Susanna Ceccardi, la quale, proprio grazie al Tirreno, ha avuto modo di illustrare ai toscani il modo in cui ha intenzione di rilanciare la nostra regione in ambito europeo nel caso venisse rieletta all’Europarlamento.