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Promuovere la cucina tradizionale: Federica e il sogno realizzato con un home restaurant

di Cristiano Pellegrini
Promuovere la cucina tradizionale: Federica e il sogno realizzato con un home restaurant

San Gimignano, Continanza si racconta: gli esordi, le esperienze all’estero e il successo. La sua attività nata in una ex scuola degli anni Cinquanta

29 novembre 2022
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Federica Continanza, classe 1979, non riesce a stare ferma. Dopo aver lavorato in ristoranti in Italia e all’estero, l’eclettica chef di Casa Grazia, ha coronato il suo sogno creando a San Gimignano un ristorante "su misura". Casa Grazia oggi è la sua casa, un tempo era la vecchia scuola degli anni ’50 dove i bambini andavano ad imparare a leggere e a scrivere ma anche a conoscere le cose della natura. Oggi Chef Federica "insegna" ai suoi clienti, grandi e piccini, le regole della buona cucina, quella tradizionale ma salutare, condita da un pizzico di sperimentazione e innovazione. Madre maremmana e padre lucano, due terre di grande espressione culinaria.

Cosa pensa della cucina regionale e tradizionale?

«Sono legata alla tradizione e alla cucina della nostra terra perché così ho scoperto chi sono, l’ho fatto grazie alle mie nonne e alle loro lavorazioni fatte a mano in cucina. Ho scoperto la mia passione e il mio desiderio di tramandare le mie conoscenze ai ragazzi: per questo ho iniziato ad insegnare. La tradizione è alla base di tutto anche se poi tendo a sperimentare».

Che rapporto ha Federica con il cibo?

«Ho un rapporto bellissimo con il cibo fin da piccolina. La mia mamma, grande cuoca, mi ha fatto sperimentare di tutto; poi, nell’adolescenza, mi sono limitata per un mio desiderio di forma fisica. Ho intrapreso questo percorso di cucina a 17 anni e per me è sempre stato un bel rapporto d’amore perché ho iniziato a cucinare per mettere la pace in tavola. I miei genitori lavoravano sempre tanto e se alle otto, quando il mio babbo tornava dal lavoro non si mangiava, c’era aria di tempesta. E così ho iniziato a cucinare per la pace a tavola. Da allora ho maturato il bisogno di vedere le persone felici a tavola. Un modo per riunire la famiglia, gli amici. Per me la cucina ha il significato profondo di unione e pace.

C’è chi tende ad etichettare la cucina vegana come una moda o una vera e propria ideologia. Cosa risponde?

«Assolutamente non sono per le soluzioni drastiche. Non è per me una scelta modaiola o ideologica come per tanti. La mia è consapevolezza rispetto a ciò che si mangia. Determinati cibi hanno una vibrazione più alta se cucinati nel rispetto della natura. Nel mio caso ho avuto un punto di svolta quando ho preso una brutta intossicazione in un ristorante e ho dovuto iniziare a limitare il cibo perché mi dava reazioni allergiche forti. Ho iniziato a sperimentare avendo pochi ingredienti su cui poter contare per evitare le mie reazioni allergiche. E così è iniziato il mio percorso vegan che poi ho esteso ad una cerchia di clienti».

Che tipo di ingredienti utilizza? Come li seleziona?

«Amo molto poter uscire dall’ambiente dove mi trovo a cucinare e raccogliere direttamente gli ingredienti. Dall’orto alla tavola è la mia filosofia. Sfrutto inoltre la collaborazione con le piccole realtà che producono vicino a me mentre al supermercato scelgo, possibilmente, ingredienti del mio territorio. Alla base dei miei menù ci sono i vegetali e le erbe aromatiche. Da lì nasce tutto. Uso tantissimo il rosmarino, anche nei dolci, ma pure salvia e semi di finocchio. Come personal chef mi piace disegnare il cibo su misura per i miei clienti».

Tutto si trasforma, niente si butta. Riciclare è meglio che buttare.

«Da quello che ho provato nella mia vita, quando mi sono ritrovata sola e abbandonata, ho scoperto una seconda possibilità nella solitudine. E nella noia, ho scoperto quello che riesco a fare con le mani e con la cucina. Prima di buttare via un prodotto o un ingrediente mi invento una ricetta. Ecco, un po’ come nella vita si capisce che c’è sempre una seconda possibilità. Buttare il cibo è un gesto davvero importante e serve creatività per dargli un’altra vita».

Com’è nata l’idea di creare un home restaurant?

«L’idea dell’home restaurant è nata due anni fa. Abitavo a Empoli, con il mio bimbo, e durante il lockdown i clienti del ristorante in cui lavoravo mi chiedevano piatti. E così ho preso la palla al balzo, quella di realizzare il mio sogno. Mi sono detta: voglio tornare alle mie origini, alla mia terra e alla natura ed essere circondata dalle persone. Non mi sarei mai immaginata di finire a San Gimignano, ma quando ho visto Casa Grazia ho pensato che sarebbe stata la mia vita».

Chef a domicilio: le case e le famiglie italiane sono pronte per questo tipo di esperienza?

«Sì, tantissimo, anche se non è facile fargli capire il rapporto con la spesa. Spesso i clienti italiani si immaginano di spendere meno ma le cifre rimangono quelle del ristorante. Io mi occupo di fare la spesa, di apparecchiare, di preparare il menù, cucinarlo, servirlo e poi di sistemare la cucina una volta terminato. Comunque, le famiglie italiane hanno reagito benissimo a questa esperienza».

Baby lab: che rapporto hanno i bambini di oggi con la cucina? E con il cibo?

«Con la cucina molto bello. Sono curiosi di sperimentare, anche i maschietti grazie ai programmi tv. Con il cibo non è facile trovare un equilibrio. Ci sono ragazzi e ragazze che sempre di più accusano disturbi alimentari. Serve ancora tanta corretta informazione nel rapporto con se stessi».

Lei ha girato il mondo. In che modo ciò ha influenzato il suo modo di vedere la cucina?

«Ogni volta che torno, ho voglia di sperimentare un piatto nuovo. Ma ogni volta che torno mi si fortifica la consapevolezza della fortuna che abbiamo con i piatti italiani. La classica minestra di pane è una miniera d’oro che abbiamo tra le mani e me ne sono resa conto quando ho fatto uno show cooking con lo chef della Casa Bianca».

Che ruolo ha la Toscana nella sua vita professionale?

«Un ruolo fondamentale. Avendo viaggiato molto, posso dire che la Toscana è una delle regioni più belle d’Italia. Sto pensando di realizzare qualcosa anche per valorizzare e conoscere l’altra metà delle mie origini, quelle lucane, Carbone, il paese del mio babbo. Voglio rivivere le emozioni che mi ha trasmesso l’altra mia nonna. Porto avanti valori delle tradizioni».

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