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Io, in coma etilico per troppo dolore: nuotiamo in un mare pieno di squali

Io, in coma etilico per troppo dolore: nuotiamo in un mare pieno di squali

La nostra personalità viene plasmata da come cresciamo. I primi problemi che riscontriamo quando iniziamo a crescere sono spesso i traumi che ci hanno segnato da bambini e molte volte è la famiglia a causarceli. Ecco La riflessione di una studentessa che aderisce al progetto del Tirreno “Scuola 2030"

28 novembre 2022
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L’autrice di questo articolo è una studentessa del progetto Scuola2030. Per la delicatezza dei fatti che racconta, e che ha vissuto sulla sua pelle, ne tuteliamo l’identità omettendone il nome.

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A fine 2019 una ragazza di prima superiore di un capoluogo toscano è finita in coma etilico alle 5 del pomeriggio.

Troppo piccola per bere? Ma i suoi dove si trovavano? Sapevano che stava facendo? Domande lecite. Ma, forse, il vero problema è: perché l’ha fatto?

Quella ragazza ero io.

Quella ragazza voleva non pensare. Di solito si dice che l’alcol aiuti su questo. Voleva non sentire più i suoi pensieri, voleva sentirsi leggera.

Era stata convinta che suo padre stesse meglio senza lei. Si sentiva fuori posto, era stata usata, si sentiva sola. Litigava con la madre perché l’unica cosa che doveva fare era studiare. E soffriva di autolesionismo.

Cose stupide, ma nessuno aveva mai capito che aveva bisogno di aiuto. «Sono altri i veri problemi», le dicevano. Allora perché rischiare la morte? Perché far male a se stessi per un dolore definito «non abbastanza»?

Tutti i problemi sono «abbastanza». Tutto ciò che ci distrugge dentro e fuori è importante e rilevante.

Quando noi giovani vi chiediamo aiuto, non ignorateci. Non è semplice per nessuno. Cresciamo in un mondo che pretende il nostro comportarci da adulti mentre ci tratta ancora come bambini.

Noi non siamo inutili, non siamo scontati, dateci una mano.

Se vedete che non mangiamo più, che mangiamo troppo, che non mettiamo più cose strette, che non usciamo più o che siamo rimasti soli cercate di aiutarci. Osservate di più, imparate a relazionarvi e non ad imporvi come nostri superiori. Non lasciate che l’essere cresciuti vi renda non disponibili.

Molto spesso, il vero problema è il non voler ammettere gli errori. Il fatto che il figlio abbia bisogno di uno psicologo, di uno psichiatra o di qualsiasi altro supporto porta a credere di aver fallito.

La nostra personalità viene plasmata da come cresciamo. I primi problemi che riscontriamo quando iniziamo a crescere sono spesso i traumi che ci hanno segnato da bambini e molte volte è la famiglia a causarceli.

Con la scuola si inizia a conoscere il mondo esterno. Il problema è che viviamo in un mondo comandato dall’odio. I bambini sono spesso i più cattivi, sputano veleno. Il bullismo segna già in partenza una persona. Il bullo è il primo a soffrire per problemi in casa. I bulli si notano fin dalla scuola materna.

Lo dico perché lì venni bullizzata e neanche le maestre mi dettero una mano. Sia le vittime che il bullo andrebbero aiutati.

Col tempo possono arrivare altri problemi: l’ansia, non avere amici, essere escluso e molte altre cose. Viviamo in un mare pieno di squali dove noi sappiamo a malapena nuotare.

Servirebbero più esami di coscienza, ammettere gli errori e cercare di rimediare. Non possiamo salvarci da soli, nessuno può. Noi non siamo così forti come vogliamo fare credere, e il Covid non ha aiutato le cose. Molto spesso vorremo che qualcuno ci chiedesse se abbiamo bisogno o di qualcuno che accetti la nostra richiesta d’aiuto.

«Sei giovane, i veri problemi sono altri», ci viene detto. Lo sono finché i ragazzi non passano a compiere azioni estreme perché non ascoltati in nessun altro modo, ma a volte neanche questi gesti sembrano abbastanza. Ma, tranquilli, siamo solo una generazione disastrata.
 

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