Il Tirreno

Toscana

Il commento

La beffa del collegio uninominale

Emanuele Rossi

Il rimedio? Gli eletti s’iscrivano a un gruppo autonomo legato allo schieramento

05 agosto 2022
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Per comprendere qualcosa un po' di storia può essere utile.

Partiamo dal Mattarellum, che nel 1994 disegnò un sistema chiamato da tutti “maggioritario” ma che in realtà era tale soltanto per i due terzi dei seggi da assegnare. Fu salutato, qualcuno lo ricorderà, come la fine del consociativismo, dei governi brevi e inefficienti, della palude del sistema italiano e come l’avvento di un sistema bipolare (se non bipartitico) chiaro e certo: da lì nacque anche il mito del “governo deciso dagli elettori” e definito “la sera delle elezioni”. Non ci volle molto a capire che così non sarebbe stato: esattamente sette mesi, tanti ne servirono perché la prima “ammucchiata” messa in piedi da Berlusconi (che anche su questo ha la primogenitura) cadesse per opera di Bossi e della Lega. E da lì in avanti le cose si sono ripetute, con i vari Ulivi, Unioni, Pdl e così via.

Come è stato possibile questo, se in forza del sistema elettorale i parlamentari sono eletti da una colazione, e non dai singoli partiti che la costituiscono? La risposta è semplice, ed aiuta a capire quello che si prospetta anche per l’immediato futuro.

Il collegio uninominale ha un senso se il candidato che lì viene eletto rappresenta, per tutta la durata della legislatura, lo schieramento che lo ha eletto, e quindi i relativi elettori: non soltanto il partito che lo ha proposto o al quale appartenga. Così, però, non è mai avvenuto. Chi viene eletto da tutti gli elettori del centrodestra, ad esempio, una volta arrivato in Parlamento sceglie a quale gruppo (e quindi partito) aderire, e di conseguenza ne segue le sorti. Con l’ulteriore conseguenza che alcuni parlamentari eletti da quello schieramento si potranno ritrovare nella maggioranza di governo, e altri all’opposizione, pur essendo eletti dagli stessi elettori: elettori i quali non immaginavano certo (né lo potevano) di ritrovarsi da una parte o dall’altra solo a causa della scelta individuale del proprio candidato. Cosa che è avvenuta anche alle ultime elezioni, con alcuni parlamentari eletti da tutto il centrodestra che si sono ritrovati in maggioranza (quelli delle Lega nel governo Conte I) e altri all’opposizione (Forza Italia, FdI ed altri).

La stessa circostanza potrebbe realizzarsi dopo il 25 settembre: qui i collegi maggioritari sono meno (un terzo anziché due terzi), ma chi in essi sarà eletto si posizionerà poi non a rappresentare tutti gli elettori che l’avranno votato, ma quella parte di essi che si riconoscono nel partito cui questo deciderà di appartenere. Così, per fare un esempio, se in un collegio tutti gli elettori della coalizione Letta-Calenda e c. riusciranno ad eleggere il proprio candidato, questo andrà a fare gruppo o con il Pd, o con i calendiani o con qualche altro cespuglio della coalizione. E idem, ovviamente, nel centrodestra. Con buona pace degli elettori Pd che avranno eletto un calendiano (che magari, dopo le elezioni, sceglierà una strada diversa dal Pd, vallo a sapere), o di quelli di Forza Italia che avranno eletto uno della Lega, e così via. Con una precisazione ulteriore: che la distribuzione dei seggi tra i vari partiti viene ufficialmente decisa dopo le elezioni, ma nelle segrete stanze è decisa prima, dalle stesse segreterie che si spartiscono i collegi.

Ci sarebbe un rimedio a questo? Volendo, sì, con una scelta politica chiara: ovvero che tutti coloro che sono eletti nei collegi uninominali per uno schieramento si iscrivano a un gruppo autonomo che faccia capo a tutto lo schieramento, e non a uno dei partiti di esso. Tra l’altro, questo potrebbe essere un elemento di rafforzamento delle coalizioni, inducendole a non dividersi al loro interno. Succederà? Se dovessi giocarci un euro preferirei tenermelo in tasca.l


 

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