Il Tirreno

Letteratura

«Con “Avere tutto” sono riuscito a far venire fuori i miei demoni»

di Cristina Bulgheri
Marco Missiroli
Marco Missiroli

Marco Missiroli presenta il suo nuovo romanzo oggi a Pietrasanta

04 giugno 2023
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Una scrittura dura, una scrittura nuda. Una scrittura che decide lei che cosa dire e come farlo. È questo il valore aggiunto di “Avere tutto”, il potente romanzo di Marco Missiroli che oggi alle 18,30 il pubblico che sarà presente in piazza Duomo a Pietrasanta per assistere all’ultima delle tre giornate della rassegna letteraria “Parola ad arte”, potrà conoscere ed apprezzare nell’incontro condotto da Edoardo Nesi.

Una scrittura essenziale: non una parola di più, né una di meno. Verbi, sostantivi, aggettivi sono pesati, centellinati, studiati e insostituibili. Ognuno al proprio posto per esprimere, senza enfasi e retorica, tutto quello che si può dire di un rapporto reciprocamente ritrovato, come quello tra Sandro e Nando: un figlio che torna a casa da un padre malato, chiamati a vivere in una nuova quotidianità.

Missiroli, “Avere tutto” è la storia dolorosa e potente del rapporto tra un padre e un figlio.

«Sì, è la storia di un padre che ritrova un figlio e un figlio che ritrova il padre, perché non è scontato che noi figli e noi genitori ci ritroviamo. Ad un certo punto, quindi, prima che sia troppo tardi è importantissimo che mettiamo a posto delle situazioni, di modo che la memoria sia una memoria felice. Una memoria del futuro».

Qualcuno ha tirato in ballo la parabola evangelica del “figliol prodigo”: ritiene appropriato il paragone?

«Non so se è una questione di “figliol prodigo”. Quello che mi importa è che l’umanità di due fragilità, quella di un padre e quella di un figlio, che hanno perso il figlio la madre, il padre la moglie, facciano lo sforzo di accudirsi, di prendersi cura l’uno dell’altro, quando la vita è già oltre: il figlio ha più di quarant’anni e il padre più di settanta. Ed è difficile».

Nel libro è trattato anche con lucidità e precisione l’argomento della ludopatia, che lei ha vissuto in prima persona.

«È una questione di riuscire a tirare fuori i propri demoni raccontando le cose come stanno. Quando ho raccontato il poker, l’ho fatto non tanto come ludopatia, ma come grammatica del giocatore. Ho cercato di essere scientifico, di essere molto chirurgico nel far capire che cosa c’è dietro quella febbre, dietro quel disagio, quella fame d’amore che si nasconde dietro il giocatore d’azzardo. Spero di essere riuscito a far capire anche un’umanità che si staglia dietro queste persone».

In “Avere tutto” l’uomo Missiroli si è messo a nudo, senza veli, senza troppa finzione letteraria, senza filtri: quanto è costato tutto ciò?

«Poiché sono stato un giocatore, era mio dovere parlare di poker, essere tanto fedele al mio autobiografismo o comunque a quei tratti che avevo assorbito. E questo si vede anche dalla scrittura: una scrittura dura, nuda, che racconta la realtà dei fatti e lo fa senza giri di parole. Il libro è amato proprio per questa lingua nuda tesa a dire la verità».

Valeva la pena “dare tutto”, in termini di emozioni, vissuto personale, intimità, per “Avere tutto”?

«È un libro che mi è costato, sicuramente quel che avevo dentro è una nudità ulteriore, però mi ha insegnato che la verità paga: la verità di essere ciò che si è, senza artifici. “Avere tutto” è un libro che ha chiuso un cerchio e forse ne ha aperto un altro, che è quello di essere ciò che si è nei libri e giocarsi in ogni libro davvero tutto ciò che si ha. Quindi farne pochi, ma farli bene e farli con tutto dentro ».

Una scelta coraggiosa, che sfugge alle regole del mercato dell’editoria.

«Assolutamente va in controtendenza il fatto di scrivere ancora meno libri, ancora più sentiti, ancora con maggiore struttura sentimentale va contro il sistema editoriale e contro l’aspetto contemporaneo dell’industria editoriale che in questo momento è ai massimi livelli sulla scelta di volere libri con massima frequenza, ma sento che deve essere così e ne affronterò le conseguenze».

Al Salone di Torino, scherzando con Domenico Starnone, ha accennato alla possibilità che se questo fosse il suo ultimo libro, conferma?

«Sì, “Avere tutto” sarebbe un punto finale di qualcosa che mi ha soddisfatto tanto. Con gli altri romanzi non sarebbe stato così. È vero se smettessi di avere la magia di scrittura, non avessi più l’ispirazione per altre storie, sarei felice di aver concluso con “Avere tutto”, però spero che possa essere l’inizio di qualcosa di nuovo».

“Avere tutto” è una storia di famiglia che si consuma tra Milano e Rimini, le sue due patrie: possiamo aggiungerne una terza, quella Versilia che ha visto il libro crescere e trovare compimento?

«Ah la Versilia! Mi è molto piaciuto tradire Rimini con la Versilia: ho scritto buona parte di “Avere tutto” a Viareggio, la sera andavo a Pietrasanta, per rilassarmi. Davvero una terra che lo ha visto crescere, infatti è citata nel romanzo. È una terra a cui devo molto: devo l’ispirazione».

E un pensiero, in questi momenti, non può non andare alla sua Romagna.

«La Romagna sta soffrendo tanto, è “quasi” ferita a morte dalle tragedie se pensiamo ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, l’alluvione adesso e altre tragedie, però quel “quasi” significa che noi riusciamo a venirne fuori con lo spirito di coraggio, di ricostruzione, di generosità verso noi stessi che non è scontato. Questo ci porta ad essere “rianimanti” e non “rianimati” della nostra stessa terra. Siamo già sulla strada della rinascita».


 

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