Il Tirreno

In ospedale

Carrara, ricoverato al Noa Vittorio Manici: denunciò i veleni della Rumianca

di David Chiappuella
Carrara, ricoverato al Noa Vittorio Manici: denunciò i veleni della Rumianca

Con il fratello Giancarlo raccontò l’incubo del lavoro in quella fabbrica

20 marzo 2023
3 MINUTI DI LETTURA





CARRARA. Davvero un brutto spavento per Vittorio Manici, nostro affezionato lettore, ricoverato al Noa per una decina di giorni a causa di insufficienza respiratoria, dovuta alla sua lunga esposizione lavorativa ai veleni dell’industria chimica, della quale si definisce “un sopravvissuto”. Nella lettera di dimissioni, infatti, si legge che Manici, “soggetto con polmonite bilaterale”, è “operaio di industria chimica in pensione”, affetto anche da broncopneumopatia cronica ostruttiva ed ipertensione arteriosa, a cui è stata riconosciuta “invalidità professionale per inalazione di sostanze arsenicali”. Questo perché Vittorio, oggi 81enne, è stato dipendente della Rumianca dal 1961 al 1983, risultando tra i pochi lavoratori superstiti. «Di 700 che eravamo in fabbrica, fra dipendenti diretti ed imprese dell’indotto, -afferma- saremo sopravvissuti in meno di dieci».

La stessa famiglia Manici ha pagato un tributo pesantissimo. Carlo Manici, padre di Vittorio, anch’egli operaio alla Rumianca, morì a 46 anni per un tumore alla gola, mentre sua madre, che distribuiva latte all’interno della fabbrica, dovette smettere di lavorare, perché soffriva di emorragie al fegato e allo stomaco, che avrebbero condannato anche lei ad una fine prematura. La donna fu sostituita proprio da Vittorio, suo primogenito. Ma anche il figlio minore Giancarlo, scomparso nel 2019, lavorò alla Rumianca dal 1970 al 1984, anno della chiusura. Per i due fratelli questa esperienza fu una discesa negli abissi dell’industrializzazione più velenosa, che ha rovinato le loro vite. La lettera di dimissioni dal Noa ricorda anche che Vittorio, circa 10 anni fa, è stato operato per un tumore al polmone destro e che nel 2020 ha avuto una recidiva a quello sinistro, che lo ha costretto a sottoporsi ad un nuovo intervento chirurgico a Livorno. Anche Giancarlo doveva effettuare la Tac ogni tre mesi, perché gli erano state diagnosticate delle placche provocate sempre dai composti arsenicali. Dentro la Rumianca i due lavoratori erano addetti un po’a tutto, anche al diserbante Olgran, impiegato nelle risaie. «Sia io che mio fratello - racconta Vittorio Manici - abbiamo perso i denti a 40 anni, per colpa di quei diserbanti che ci bruciavano la bocca. Avevamo vergogna per il puzzo che ci restava addosso finito il lavoro. Ci lavavamo anche con l’aceto, ma non riuscivamo a mandare via la puzza».

L’ex operaio ricorda anche gli sversamenti notturni di sostanze tossiche nel Lavello. «Negli anni’70 -spiega- la Rumianca era aperta 24 ore su 24 ed io facevo i turni. A mezzanotte i capiturno mi davano l’ordine di aprire le valvole e gettare nel Lavello tutti gli scarti di lavorazione, contenuti nei vasconi. Per chi lavorava di notte questa era una prassi obbligatoria. Quando c’erano i controlli dell’Usl, venivano gettati pesci rossi nel vascone, circa 10 minuti-un quarto d’ora prima dell’ispezione, per dimostrare che l’acqua era pulita. Dopo mezzora, però, ad ispezione conclusa, i pesci saltavano fuori da soli per morire. A fine anni ’70 - prosegue - arrivò in fabbrica un camion con container, proveniente da Israele. Per scaricarlo ci volle una settimana, perché i sacchi che conteneva, quando perdevano polvere, facevano sanguinare il naso e bisognava stare attentissimi a maneggiarli». Per anni Vittorio e Giancarlo hanno dovuto lottare per vedersi riconoscere i loro diritti per essere stati a contatto con quei veleni. Vittorio, infatti, ha ottenuto l’invalidità all’80% solo nel 2016.


© RIPRODUZIONE RISERVATA
 

Vespa World Days
L’evento

Vespa World Days, il racconto del grande debutto: i modelli unici e i vespisti da tutto il mondo – Diretta

Sportello legale