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Uccise la compagna di Altopascio: ok alla perizia psichiatrica

Uccise la compagna di Altopascio: ok alla perizia psichiatrica

In appello sì alla richiesta della difesa dell’omicida di Silvia Manetti

18 aprile 2024
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ALTOPASCIO. La Corte di assise di appello di Firenze ha detto sì alla perizia psichiatrica per Nicola Stefanini, l’operaio 51enne originario di Saline di Volterra condannato l’anno scorso a 26 anni per aver ucciso con sedici coltellate la compagna Silvia Manetti, 45 anni, di Altopascio, la sera dell’11 agosto 2021, nel Fiat Doblò fermo sulla strada per il ritorno a Monterotondo Marittimo, dopo la cena per festeggiare l’anniversario della convivenza.

Una richiesta in questo senso era stata avanzata nel corso del processo di primo grado ma non era stata accolta dalla Corte di assise. Il difensore, l’avvocato Tommaso Galletti, aveva inserito questa richiesta anche nell’atto di appello: ieri la Procura generale si è dichiarata contraria, ritenendo che non vi siano elementi per affermare nemmeno l’incapacità parziale, così come si sono opposti i legali di parte civile, gli avvocati Riccardo Gambi e Michele Giorgetti che rappresentano i familiari di Silvia. La Corte presieduta da Alessandro Nencini ha ritenuto comunque opportuno questo approfondimento clinico e ha nominato uno specialista: questi prenderà l’incarico la prossima settimana e in quella sede fisserà insieme ai giudici le date di consegna della relazione e di discussione delle proprie conclusioni. Già indicato il quesito: l’esperto dovrà dire se Nicola Stefanini era incapace di intendere e di volere al momento del fatto e anche se sia socialmente pericoloso. Non è possibile ancora stimare quando la Corte di assise potrà pronunciare la propria sentenza. Dipenderà dai tempi che saranno indicati per lo svolgimento della perizia. Stefanini, detenuto adesso nel carcere di Porto Azzurro, non era presente all’udienza.

Per lui, in primo grado, la Corte di assise aveva ritenuto che la capacità di intendere e di volere non era stata compromessa da abusi di droghe e cioè che l’assunzione di sostanze stupefacenti e alcol fin da giovane non ha manifestato i segni di un’intossicazione cronica, anche perché l’imputato era riuscito sempre a lavorare quotidianamente e perché nel corso del procedimento aveva sempre dimostrato lucidità, fatta salva l’oppressione per la grande sofferenza dell’omicidio, avevano scritto i giudici nelle motivazioni.

L’avvocato ha in sostanza ribadito le tesi già esposte in primo grado e nell’atto di appello. Quando aveva parlato in aula, Stefanini aveva raccontato tanto di sé. Aveva raccontato gli abusi, anche quelli di alcol. E di quella volta che, bambino, era finito in ospedale perché non cresceva. Delle difficoltà a scuola («sono stato bocciato in seconda media, facevo casino, passavo con il 6») . Aveva parlato della mamma ammalata, di quando per la casa volavano scope, pentole, bicchieri, chiavi.

Il neuropsichiatra Romano Fabbrizzi in aula aveva parlato di una capacità «grandemente scemata». E aveva ritenuto Stefanini affetto da «una patologia grave e complessa, dall’infanzia» identificata come sindrome Adhd, un deficit dell’attenzione che influenza anche le relazioni.l

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