Il Tirreno

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Il personaggio

L’agente in pensione dopo 40 anni: «Cocaina e baby gang la rovina. Vi racconto com’è cambiata la criminalità a Livorno» – Video

di Flavio Lombardi
L’agente in pensione dopo 40 anni: «Cocaina e baby gang la rovina. Vi racconto com’è cambiata la criminalità a Livorno» – Video

Dal 1989 sulle volanti in città, Franco Pellegrini ora è andato in pensione. Il suo messaggio ha commosso il web: «Siete giovani, realizzate i sogni»

08 febbraio 2023
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LIVORNO. «Per me, 016, l’ultima uscita». Siamo al 31 gennaio, è l’inizio del turno, con le volanti a raccolta prima di affrontare la “buia prateria” della città. È la voce del sovrintendente capo coordinatore Franco Pellegrini che parla. Tutti lo sentono. Quelli a bordo delle altre auto, già pronte a mordere la strada, e quelli dentro la centrale operativa. Sessant’anni appena compiuti, 33 dei quali trascorsi là fuori nella sua Livorno. Prima alla guida e, successivamente, come capo pattuglia prendendo posto sul sedile accanto al conducente.

Labronico doc, un lavoro dipendente da ragazzetto sin dal 7 luglio del’77, quando il presidente della Repubblica era ancora Giovanni Leone, quello degli Stati Uniti il re delle arachidi Jimmy Carter. Quando, a carnevale usciva “Hotel California” degli Eagles e l’estate con “Ti amo” di Umberto Tozzi faceva fondere il juke box dei Pancaldi o dei Lido. Un salto al 31 gennaio scorso per l’ultimo giorno di lavoro, quello che in pochi istanti ti fa passare davanti una carriera intera. È tempo della meritata pensione, ma con un filo di struggente nostalgia che ti attanaglia. Come fosse un tango triste e malinconico del quartiere della Boca dall’altra parte dell’oceano, di chi sa che l’ora di lasciare la propria casa è giunta.


«Vai, Francoooo! , Buona pensione da tutti noi, ti vogliamo bene, un saluto», urla il compagno. Pellegrini, riprende la radio e saluta tutti prima di cominciare un turno che ci si auspica arrivi all’alba senza scossoni. «Grazie a tutti, di cuore. Siete stati fantastici e vi voglio bene. Siete giovani avete una vita davanti e spero possiate ottenere i vostri obiettivi. Per la carriera e all’interno delle vostre famiglie». Un augurio, quello che giunge dal collega “anziano”, come fosse il Robin Williams dell’”Attimo fuggente” e la sua esortazione a cogliere l’attimo, rendendo straordinaria la propria vita.

L’ingresso in polizia

Non è stata vocazione. Terminata la scuola dell’obbligo, Pellegrini, figlio di portuale in una famiglia i cui i maschi sono tutti portuali e con la tessera del partito in tasca, ambisce anche lui a portare avanti la tradizione. Epoca in cui di quel posto si diceva «è siuro e si guadagna anche bene», in testa alla hit di quando certe nonne per fare invidia alle amiche potevano a scelta dire “la m’bimba fa all’amore con un portuale” o in alternativa “con un banchiere” per intendere uno che lavorava in banca.

Altri tempi. Franco però entra alla Londi, stabilimento della Padula, dove si facevano le mitiche brioches. «Prendevo anche un ottimo stipendio, ma dovevo fare il militare che per quelli delle mie generazioni “rubava un anno”. Cercai di cogliere allora l’occasione per fare nell’82 il concorso per ausiliario in polizia. Ma andò male, perché il mio contingente era già partito. Ostinato, feci allora la domanda come effettivo. Un modo per trovarmi un lavoro senza perdere i fatidici dodici mesi. In casa mi guardavano un po’storto, i lavoratori in certe circostanze si erano scontrati con le forze dell’ordine. Insomma, in casa Pellegrini, correvano il rischio di avere “il nemico in casa”. In seguito, ci abbiamo fatto tante risate su, con mio padre super orgoglioso di avere un figlio in divisa e guai a chi diceva male dei poliziotti». Arriva il bando regionale da 7.500 posti, in quindicimila si presentano. Franco ce la fa, sceglie fra le possibili destinazioni Pisa, Lucca o Massa. Andrà a Pisa, nel dicembre ’83, pivello da svezzare e dove resterà fino all’89, anno in cui riesce a tornare a casa.

Sulle strade di Livorno

Praticamente subito sulle volanti. Facendo tornare in suo favore il fatto di conoscere la sua città e il carattere dei livornesi. «Ho sempre fatto il mio dovere, usando il modo giusto per rapportarmi con la gente. Cercando di avere in tasca sempre la chiave. Noi sappiamo riconoscere bene quando il livornese è arrabbiato, urla, minaccia ma che se lo prendi per il verso del pelo, lo riporti piano piano a più miti consigli. Tante volte, dopo, mi hanno ringraziato. È un lavoro di psicologia, che a volte ti porta a parlare slang, far capire che sei livornese come e anche più di loro. Ho risolto tante cose in questo modo. Denunciando per oltraggio solo quattro volte in tutta la carriera, talvolta facendo finta di non sentire, comprendendo uno stato d’animo magari alterato dovuto più che altro alla situazione. Come a volte fanno gli arbitri durante una partita di calcio un po’ animata. Non è dimostrazione di debolezza. Anzi, non inasprisci i toni e fai prima a riportare la calma. Tanti pregiudicati mi hanno trovato per strada salutando. Ricordando che sono sempre stato uno che ha usato preferibilmente la persuasione rispetto alla repressione».

Quella volta a Calignaia

Un intervento drammatico fu al ponte di Calignaia. Un caso di suicidio, Franco è di turno sulla volante e viene dirottato sul posto dopo le telefonate della gente che aveva visto in diretta il gesto disperato. «Scendo fino agli scogli, il cadavere non lo trovo; anche il mare è quieto. Non mi spiego il perché non si riesca a trovare. A un certo punto vedo un uomo rannicchiato, che trema come una foglia ed è insanguinato. “Ma tu sei quello che sì è buttato? ” Questo, piangendo, rispose: “Nemmeno la morte mi vuole”. Mi siedo accanto a lui e comincio a confortarlo. Spiegandogli che evidentemente era un segno venuto dal cielo. Che per Dio, lui era più utile in questa dimensione e che certamente avrebbe potuto fare cose belle per il prossimo. Annuì. Non l’ho più rivisto dopo averlo accompagnato all’ambulanza. Ma ho saputo che ora si spende per aiutare gli altri».

Tante volte a contatto con le storie brutte, di disagio sociale, finite male. Non ci si fa mai il callo. Poi, il salvataggio della ragazzina al terrazzo del quinto piano che Franco riuscì a trascinare via, dopo una irruzione nell’appartamento fatta con i colleghi. L’abbraccio, il pianto a dirotto, il pentimento per aver provato a farla finita.

Com’è cambiata la città

«Prima c’erano i tossici, quelli che facevano uso di eroina; li conoscevi ed erano sempre gli stessi. Erano, come si dice a Livorno delle figure. C’era un rapporto, e anche quando li fermavi, arrivava anche il momento in cui scherzavi con certe battutacce. Ma la droga arrivata dopo ha cambiato lo scenario. La coca ha rovinato tutto. La fanno in tanti e a tutte le età. E poi, le sintetiche. E le baby gang. Furti e violenza. Prima, qualche straniero e nomadi. Oggi, ragazzini, parecchi livornesi. Da Decathlon un bimbo di 9 anni a rubare, la 13enne che spaccia in una piazza. Zona Garibaldi, per esempio, era un posto normale quando ero giovane, idem la Guglia o la Bastia. Zone popolari ma dove il fenomeno era circoscritto rispetto a oggi. Ora, polizia, finanza, carabinieri, non ce la fanno. Siamo in pochi sul territorio rispetto a quanto servirebbe. Cambia rispetto al passato, anche la gestione di un intervento. Ora capita di trovarti di fronte anche quelli armati di coltello, anche se con l’esperienza, si riesce sempre a portare a casa il risultato. Poi, c’è quando hai l’amaro in bocca dopo l’arresto di quello che spaccia dalla finestra del pian terreno. Processato, lo mettono ai domiciliari nella stessa casa. Siamo sicuri abbia smesso di vendere morte? Livorno rispetto ad altri centri è più sicura sui reati gravi, ma la micro criminalità non è diminuita. Siamo allineati ad altri posti, la società purtroppo è malata».

Entrate in polizia

Tanti al sud fanno il concorso perché non hanno alternative per guadagnare onestamente. «Ma mettersi una divisa, qualunque essa sia, non è solo lavoro. È cercare di essere utili per il prossimo, cercando fra i possibili impieghi, quello in cui si può essere utili e che ci piace regalandoci un sorriso».

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