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Firenze, che succede alle fontane storiche? Siccità e degrado "spengono" i gioielli della città

Sabrina Carollo
Firenze, che succede alle fontane storiche? Siccità e degrado "spengono" i gioielli della città

Viaggio fra i monumenti idrici, da piazza della Libertà alla vasca di Boboli. Alcune non funzionano, per altre serve manutenzione. Ma che sorpresa le Rampe

09 agosto 2022
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FIRENZE. La sorpresa più bella è la fontana del Dragone, agli Orti del Parnaso. Dopo anni di semi abbandono, vedere zampillare l’acqua dalla sua bocca dopo che è scesa lungo tutto il corpo che si snoda per la scalinata regala una gioia quasi infantile. Certo il povero animale di pietra avrebbe bisogno di un buon dentista – e magari anche di un barbiere, considerata la folta barba di edera cresciuta nel tempo –, ma nel complesso l’effetto è decisamente scenografico. Affacciata sul giardino dell’Orticoltura, la scultura veglia il panorama di Firenze dagli anni Novanta, quando venne costruita su progetto di Marco Dezzi Bardeschi, ingegnere e architetto che volle rappresentare il serpente Pitone, mostruoso figlio di Gea e custode dell’oracolo di Delfi, ucciso dal dio Apollo sul monte Parnaso.

Se la passa comunque peggio la fontana di piazza della Libertà, grande vasca con due spruzzi laterali (spenti) e al centro una scultura anch’essa legata ad Apollo, in questo caso perdente: rappresenta il dio mentre cerca di afferrare l’amata Dafne nel momento in cui la ninfa, per sfuggirgli, si trasforma in albero di alloro. Il tema della scultura, realizzata negli anni ottanta da Marcello Tommasi, era molto caro all’artista che ne creò diverse versioni, una delle quali praticamente identica si trova a Fiumetto, in Versilia. Speriamo che con la conclusione dei lavori per la tramvia anche il giardino – originariamente concepito da Giacomo Roster – possa ritrovare dignità, così come la fontana, al momento spenta e trasformata in un allevamento di zanzare giganti. Problema eliminato alla radice nella fontana della Regina Vittoria, malinconicamente dimenticata nel parcheggio di piazza Vittorio Veneto, davanti alle Cascine, la cui vasca trilobata è stata riempita di cemento. Eppure doveva essere graziosa, all’epoca dell’inaugurazione nel 1900, con quel suo bel marmo rosso di Verona e le forme neogotiche; era stata voluta dalla comunità britannica per celebrare i sessant’anni di regno della regina.

Poco distante, all’interno del parco, anche la fontana del Narciso attende tempi migliori, quando qualche pietoso restauratore vorrà ricostruire il naso al viso del giovane vanitoso raffigurato al centro della struttura. Per fortuna non ha più acqua in cui specchiarsi e vedere com’è ridotto. Peccato, perché la piccola costruzione piramidale della fontana è stata ispiratrice del poeta romantico Percy Bysshe Shelley, che qui compose la sua Ode al vento dell’ovest. La fontana era stata ideata da Giuseppe Manetti nel 1791, nell’ambito di una ristrutturazione delle Cascine voluta dai Lorena. Non ci si deve spostare di molto per arrivare alla fontana del Prato di Ognissanti. Opera del 1810 ideata da Giuseppe Del Rosso, in pietra serena, era stata inizialmente sistemata in piazza de’ Mozzi, e in seguito decentrata qui, dove è cominciato l’abbandono in cui versa tutt’ora. Niente più acqua al suo interno, dove invece si intravedono, da una fessura che un tempo doveva essere collegata al bacino idrico, vuoti di birra e di bibite gassate beffardamente abbandonati.

Notizie migliori riguardano il Tabernacolo delle Fonticine in via Nazionale. Realizzata nel Cinquecento dai Della Robbia, si compone di una parte superiore che sembra una pala d’altare, e raffigura una madonna con bambino e santi in terracotta invetriata policroma, ora protetta dagli agenti atmosferici da un vetro. Nella parte inferiore, un grande bacino in marmo bianco raccoglie l’acqua che sgorga dalla bocca di sette puttini scolpiti in bassorilievo. O meglio dovrebbe sgorgare, perché al momento non se ne vede una goccia; almeno l’insieme è in buone condizioni generali e si spera che possa riprendere presto a offrire le proprie funzioni, superate le difficoltà estive - quando in effetti sarebbe più utile, ma tant’è. Sono attrazioni, con i loro fiotti brillanti, le Rampe, il Biancone e il grande specchio d’acqua per i cigni alla Fortezza. Si riflette in una tela verdognola, difesa da ringhiere di ruggine, l’Amore che sorride al centro della Vasca dell’isola a Boboli, ideata dai fratelli Parigi nel 1618 e oggetto di restauro delle Pietre Dure. Sullo spigolo di casa Frescobaldi, tra via dello Sprone e borgo San Jacopo, è ancora in funzione la bella fontana seicentesca che prende il nome proprio dal tipo di angolo acuto su cui è posta. Una conchiglia in marmo dalle eleganti volute raccoglie l’acqua che zampilla dalla bocca di una maschera supplice, ciglia folte e lunghi baffoni. Qualcuno dei numerosi turisti che transitano in gruppi compatti e diligenti riesce a far caso alla bella struttura, dominata da uno stemma dei Medici.

Ma non è facile fermarsi in un punto di osservazione sicuro, nel viavai di motorini, autobus e taxi che si alternano in questo irregolare crocicchio di vicoli. Più agevole ammirare le fontane gemelle dei mostri marini in piazza Santissima Annunziata. La struttura complessa ed elegante, gli innumerevoli dettagli decorativi e naturalistici, l’articolata organizzazione dei getti ne fanno due elementi di arredo urbano di sorprendente bellezza, anche perché in buone condizioni e funzionanti. E pensare che l’autore, lo scultore Pietro Tacca, le aveva realizzate all’inizio del Seicento per il porto di Livorno.

Sempre in centro, ma defilata, c’è la fontana dell’Agnellino. È in uno degli angoli dell’isolato occupato dal teatro Verdi, muta testimone di un tempo che fu ricco di acque: una delle due strade su cui si affaccia è via dei Lavatoi, chiamata così perché fino all’Ottocento ospitava una grande vasca usata per il bucato. Oggi deve il nome alla testa di agnello che fa capolino dal muro nella cornice in pietra serena e da cui in passato sgorgava un fiotto d’acqua talmente potente all’inizio – perché calibrato sulle necessità di lavaggio dei panni delle famiglie della zona – che dovette essere regolato. Ora il problema non si pone più, visto che il povero agnellino ciondola a secco. Ci si consola grazie all’allegro Uomo della pioggia di Folon, perfettamente funzionante nonostante gli attentati degli automobilisti che ripetutamente negli anni lo hanno centrato e abbattuto. Ma lui, testardamente, ritorna con il suo ombrellino d’acqua, in mezzo alla rotonda davanti al TuscanyHall, a ricordarci quanto sono belle le fontane se sono mantenute in condizioni ottimali.


 

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