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L’orrore del massacro del 7 ottobre, il racconto del giornalista israeliano: «Via dal kibbutz per sfuggire ad Hamas»
Pisa, la testimonianza di Amir Tibon, corrispondente diplomatico di Haaretz, uno dei principali quotidiani israeliani: «La vendetta non serve»
PISA. 7 ottobre 2023, Hamas attacca Israele annunciando l’inizio dell’operazione “Alluvione di Al-Aqsa”. Un’operazione che vedrà militanti terroristi sparare contro civili e consumare massacri nei kibbutzim vicini al confine. A testimonianza di questo orrore ci sono dei filmati in cui dei “guerrieri” di Hamas prendono in ostaggio cittadini israeliani per portarli oltre il confine di Gaza.
Testimonianze raccontate anche dalla penna di chi ha vissuto quelle ore di morte e violenza, filmandole coi suoi occhi, scolpendole nella mente e nel cuore, come successo ad Amir Tibon, premiato corrispondente diplomatico di Haaretz, uno dei principali quotidiani israeliani. Il giornalista, infatti, è stato evacuato dalla propria abitazione nel kibbutz di Nahal Oz, in seguito agli attacchi di Hamas. Ad oggi Tibon vive in una sistemazione temporanea nel centro-nord di Israele. Un alloggio che ha potuto intravedere chi ha preso parte alla presentazione del suo libro “Le porte di Gaza. Una storia di tradimento, sopravvivenza e speranza ai confini di Israele”, in cui il giornalista non solo narra con lucida freddezza quanto successo quel 7 ottobre ma riporta anche la ricostruzione storica e politica del conflitto israelo-palestinese dalla fondazione dello Stato di Israele (1948) ad oggi.
Una presentazione organizzata a Pisa, domenica scorsa, al Museo delle Navi Antiche in occasione del Pisa Book Festival, con la partecipazione dell’editore Gianluca Palmieri (di Orizzonte Milton) in dialogo con Cristiano Marcacci, direttore de Il Tirreno. Un’ora in cui Tibon, in collegamento dalla sua abitazione provvisoria, ha parlato del conflitto israelo-palestinese con oggettività e senza perdere il senso di umanità.
«Gli attentanti del 7 ottobre sono stati la parte peggiore della storia di Israele e della mia vita. Dieci ore di terrore. Dicevamo alle nostre figlie di non piangere. Alcuni dei miei amici non sono sopravvissuti mentre due bambine sono state rapite per nove mesi», è così che il giornalista ha risposto alla domanda del direttore su cosa fosse successo esattamente quel 7 ottobre di due anni fa. Uno scenario drammatico riportato minuziosamente nel libro affinché, come sostenuto dallo stesso autore, «non venga dimenticato».
Non dimenticare, è questo l’obiettivo di chi vive atrocità come la guerra. Quella guerra che annienta la dignità dell’essere umano oltraggiando il dono della vita. Un contesto infernale che, però, non ha portato il giornalista ad abbracciare la vendetta bensì la speranza: «Penso che non ci possiamo permettere di perdere la speranza. Penso che la speranza serva per continuare ad andare avanti», ha dichiarato. E su come avanzare per porre fine a questo scenario di morte e violenza tra due popoli, Tibon non ha alcun dubbio: mettere da parte la vendetta. Il giornalista sostiene fermamente che «la parola “vendetta” non debba esistere nel vocabolario di uno Stato coi valori come quello di Israele».
Per l’autore «la vendetta è la cosa più distruttiva di tutte». Questo perché «non porta a pensare cosa possa fare del bene ma cosa possa fare del male agli altri». Parole che confermano quanto detto da Gianluca Palmieri a inizio presentazione, evidenziando infatti non solo il racconto imparziale dello scrittore ma anche definendolo «un racconto sia umano che storico» Pagine che rappresentano un inno alla pace e un grido di speranza. Valori questi a cui la città di Pisa ha saputo dar vita accogliendo per sempre Marah Abu Zuhri, una ventenne palestinese arrivata lo scorso agosto in Italia dalla Striscia di Gaza per ricevere assistenza medica nell’ambito di un’operazione umanitaria. Un’accoglienza che, purtroppo, non è stata sufficiente per salvarle la vita. Un dramma che sa di sconfitta ma che, come sostenuto dallo stesso Tibon, non ha portato a perdere la speranza trovando il suo riscatto nella storia di un’altra giovane vita. Si tratta della prima studentessa palestinese accolta dall’Università di Pisa, atterrata qualche giorno fa, all’aeroporto militare di Ciampino.
Per di più, grazie al progetto “Corridoi universitari pisani per la Palestina”, attivato in virtù di un accordo tra l’Università di Pisa e la Croce Rossa Italiana, sono attesi altri due studenti. Giovani che lasciano la loro terra per sfuggire alla fame e all’annientamento.
Uno scenario che riporta alla mente la ragione d’essere del libro del giornalista: parlare affinché tutto ciò non si ripeta per ricostruire un mondo dove regni la pace e non la vendetta.
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