il rosso & il nero

Con la firma digitale diventa troppo facile proporre referendum?

Con la firma digitale diventa troppo facile proporre referendum?

28 settembre 2021
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È stata accolta come una rivoluzione: la possibilità di firmare online i referendum è appena diventata realtà e ha subito mostrato tutta la sua forza. I cittadini hanno utilizzato in massa l’opportunità di firmare con Spid anziché recarsi fisicamente nei punti di raccolta. E i referendum eutanasia e cannabis hanno ottenuto in tempi record molte più delle 500mila firme necessarie a sottoporre i quesiti. Alimentando un dibattito sulle prospettive dello strumento referendario. Alcuni giuristi ritengono che questa innovazione cambi sostanzialmente le regole del gioco e chiedono correttivi. Al contrario, i promotori dei referendum vedono in queste proposte un tentativo di restaurazione degli ostacoli pre-Spid. Ne discutono per noi Stefano Ceccanti, costituzionalista e senatore del Pd; e Marco Perduca, radicale, attivista dell’associazione Luca Coscioni.

Stefano Ceccanti (senatore Pd): Sì, ora serve un nuovo equilibrio

La giusta modernizzazione delle procedure per raccogliere le firme, intervenuta nelle scorse settimane, accelera l’esigenza di trovare un nuovo equilibrio tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta.

Alcuni punti di tensione già c’erano prima di questa innovazione, ma ora si accrescono in modo deciso. Niente da dire sui quesiti in corso, che ovviamente seguiranno le regole vigenti, ma dobbiamo porci sin d’ora, pro futuro, la soluzione dei problemi reali, dei punti di tensione obiettivi che esistono. C’è una responsabilità della politica che deve consistere nel ragionare in modo meditato sul lungo periodo, non in modo strumentale su quello che può giovare alla mia parte o alla mia opinione nelle successive ore o settimane.

Il primo punto di tensione è quello del possibile rischio di inflazione di iniziative. Qualcuno ricorderà l’ipotesi formulata da Marco Pannella (pur molto cauto in altri contesti, anche rispetto all’istituzione di un referendum propositivo) nel 1995 di proporre ben 44 quesiti per realizzare un intero programma di governo per via referendaria. Ipotesi presto venuta meno, ma comunque prospettata. Ora, se è pur vero che la legge 352 del 1970 aveva inserito vari ostacoli burocratici interpretando in modo restrittivo l’istituto referendario rispetto alle potenzialità della Costituzione, ostacoli una parte dei quali cade ora con lo Spid, la soglia dei cinquecentomila era stata fissata nel 1947 quando gli elettori erano solo 29 milioni in luogo dei 50 attuali. Un innalzamento della soglia a ottocentomila sta quindi nelle cose.

Il secondo è quello del ruolo della Corte costituzionale che si articola in due aspetti. Anzitutto c’è un problema degli effetti del giudizio di inammissibilità in presenza di raccolte con molte firme, anche oltre il milione, ora molto più probabili. Ovviamente la Corte deve giudicare secondo diritto, il numero delle firme raccolte non rileva in questa chiave, tuttavia l’elemento di frustrazione che deriverebbe dal possibile annullamento di tantissime firme dovrebbe consigliare un rimedio: molto meglio un controllo dopo centomila firme per poi riprendere la raccolta in caso di ammissibilità che non azzerarle tutte, come abbiamo già proposto in Parlamento insieme al senatore Dario Parrini.

Tuttavia c’è anche un problema ancor più rilevante: quello di dove debba arrestarsi il controllo. Fin qui si è escluso che esso debba valutare preventivamente anche la costituzionalità della normativa che risulterebbe dall’eventuale vittoria del Sì. Il controllo ora può essere solo successivo. Capisco i problemi di introdurre un’innovazione di questo rilievo, possiamo però permetterci, di fronte alla possibile moltiplicazione dei quesiti, di rendere molto più probabile un conflitto tra volontà popolare e limiti della Costituzione? Molto meglio quindi giungere anche ad un controllo preventivo di questo tipo piuttosto che demolire successivamente una normativa derivante da un consistente voto popolare.

Il terzo è quello del quorum per la validità della consultazione. Quello attuale, la metà più uno degli aventi diritto, è troppo elevato, è pensato per un periodo in cui era naturale che la partecipazione al voto superasse il novanta per cento, mentre oggi alle politiche ci si assesta poco sopra il settanta. Meglio quindi adottare una soluzione analoga a quella prevista dello Statuto toscano per i referendum regionali: porre il quorum alla metà più uno dei votanti alle precedenti elezioni politiche, tenendo conto dell’astensionismo strutturale nel periodo attuale o, comunque, una qualche altra soluzione ragionevole di ridimensionamento del quorum.

Accanto a questi tre aspetti chiave da risolvere si possono immaginare anche ulteriori perfezionamenti del sistema: ad esempio, al momento della sottoscrizione via Spid, l’obbligo di leggere un sunto chiaro e oggettivo del quesito concordato in precedenza tra i promotori e un’autorità imparziale. Lavoriamo insieme perché lo Spid è utile, ma richiede anche altro.

Marco Perduca (associazione Luca Coscioni): Quei paladini del diritto a giorni alterni

Sono cresciuto politicamente all’ombra di Marco Pannella e rivendico una tradizione politica di prassi e proposte alternative al "rosso" e al "nero" che caratterizzano la politica dei partiti in Italia; i lettori mi scuseranno se opterò quindi per l’incolore. Ciò premesso: se dal 2021 l’Italia ha ampliato la platea di chi certifica le firme e se esiste la firma digitale anche per i referendum è perché la Repubblica italiana è stata trovata dall’Onu in violazione dei suoi obblighi derivanti dalla ratifica del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

Grazie al ricorso di Mario Staderini (già segretario di Radicali Italiani) coadiuvato dal professor Cesare Romano, l’Italia ha dovuto adottare rimedi normativi agli «irragionevoli ostacoli» frapposti da norme che, invece di facilitare l’applicazione dell’articolo 75 della Costituzione, hanno complicato la vita, e svuotato le tasche, di chi negli anni l’ha voluto far vivere.

La vicende patrie ci insegnano che i referendum sono invisi alla politica dei partiti tradizionali, ma che nel momento in cui, a seguito di azioni politico-giurisdizionali, si recupera la legalità costituzionale per anni calpestata, leggere cautele e dubbi o critiche profonde alle possibilità di agibilità democratica consentite dal «godimento del progresso scientifico e sue applicazioni» vuol dire che si è toccata una vena scoperta della politica e cultura politica italiana.

Dov’erano questi paladini della "Costituzione più bella del mondo" quando questa era sotto attacco (e non solo relativamente ai referendum)? Perché il dibattito sull’anticipazione del vaglio di costituzionalità o la calibrazione del quorum, per non parlare degli aspetti burocratici dell’autenticazione o certificazione delle firme off e online, non sono mai stati presi in considerazione quando chi raccoglieva le firme li denunciava come problema strutturale di inagibilità politica?

Chi tra i critici non era nelle aule universitarie a formare la nuova classe dirigente del Paese probabilmente era in quelle parlamentari a occuparsi di "ben altre" cose più importanti: gli interessi di chi ce li aveva fatti entrare. La firma digitale, scoperta grazie al referendum online sulla cannabis, fa vacillare la reputazione di seggi e cattedre sfregiando lo smalto di autorevoli competenze. La firma digitale disintermedia e bilancia il taglio dei parlamentari mentre viene vissuta come una delegittimazione delle Camere. Una logica che sfugge. Anzichennò.

Grazie all’acume politico del ministro "tecnico" Vittorio Colao, l’Associazione Luca Coscioni si è assunta la responsabilità politica e l’onere economico di mettere a disposizione una piattaforma certificata dall’Agenzia per l’Italia Digitale per raccogliere firme in varia modalità tra cui quelle con Spid. Ogni firma firma online costa 0.40 di autenticazione Spid, 0.20 per il certificato qualificato, 0.20 gestione del documento firmato - incluso invio Pec per certificato elettorale - e 0.5 per la marca temporale qualificata. A questo servizio pubblico si applichi l’Iva del 22%! Ogni firma costa 1.05 euro.

L’Associazione Luca Coscioni ha raccolto 350.000 firme online per l’eutanasia e 580.000 per la cannabis: al costo di 930.000 euro. Per ora solo la metà è arrivata grazie a donazioni, il resto dovrà esser raccolto nelle prossime settimane per sostenere i "costi della democrazia". La raccolta della documentazione necessaria al deposito sconta il ritardo digitale della pubblica amministrazione: giovedì erano rientrati (oltre il termine previsto dalla legge) solo 160.000 certificati. Sono stati diffidati tutti i comuni inadempienti e stessa sorte toccherà al ministero dell’Interno. Chi dice che è facile "fare" un referendum online non sa di cosa parla. Il presidente Draghi scongiuri il boicottaggio del referendum cannabis e preveda la proroga al 31 ottobre della consegna in Cassazione dei documenti necessari. Sarebbe gravissimo tornare a violare la legalità costituzionale.

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