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L’intervista

Livorno, Bellazzini e una stagione da incubo: “Eravamo senza idee e senza gioco. Vi spiego perché per me è stata un’esperienza deludente”

Alessandro Lazzerini
Tommaso Bellazzini, in una gara interna all’Armando Picchi con la maglia del Livorno (foto Masini/Silvi)
Tommaso Bellazzini, in una gara interna all’Armando Picchi con la maglia del Livorno (foto Masini/Silvi)

Il trequartista ripercorre il campionato: «La squadra era costruita con il 4-3-1-2, ero il giocatore più rappresentativo se si guarda il curriculum e quindi al centro del progetto tecnico. Ricordo che si parlava di un attaccante centrale che avrebbe dovuto completare il reparto insieme e Ferretti e Frati»

02 agosto 2022
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LIVORNO. Più o meno un anno fa il Livorno lo annunciava come super colpo dell’estate e i riflettori durante il ritiro di Rosignano erano tutti su di lui. Giocatore dalla qualità tecnica sublime e che in Eccellenza, dopo aver fatto anni e anni di Serie B, si credeva potesse fare la differenza in ogni secondo della partita. Quell’impatto, però, durante la stagione in amaranto Tommaso Bellazzini non è mai riuscito a darlo, come dimostrano i due soli gol realizzati, entrambi su rigore. «Posso definirla un’esperienza deludente e per larghi tratti sofferente – esordisce il trequartista mancino – Ero partito con grande entusiasmo e con i presupposti per rimanere a Livorno qualche anno, perché c’erano tutte le premesse per fare grandi cose. Mi dispiace che tutto l’ambiente amaranto non abbia mai conosciuto il vero Bellazzini, né come uomo, né come calciatore».

In preparazione invece andava tutto a meraviglia.

«La squadra era costruita con il 4-3-1-2, ero il giocatore più rappresentativo se si guarda il curriculum e quindi al centro del progetto tecnico. Ricordo che si parlava di un attaccante centrale che avrebbe dovuto completare il reparto insieme e Ferretti e Frati».

Poi qualcosa è cambiato?

«L’arrivo di Torromino e Vantaggiato ha indubbiamente spostato il baricentro del gioco, tant’è che cambiammo anche modulo. Si parla di giocatori forti e la scelta è stata quella di cercare di metterli nella miglior condizione per esprimersi».

Arriviamo all’esordio di Castelfiorentino.

«Già quella partita dice molto di quanto anticipato. C’erano tre posti per quattro attaccanti dato che Ferretti ed io venivamo da un ottimo pre–campionato. Fui schierato mezz’ala, un ruolo in cui non avevo mai lavorato in preparazione. Il primo tempo tutta la squadra fece fatica, venivo da una settimana senza allenamenti, e fui sostituito. Quella fu la prima volta in cui venni sacrificato, come qualche settimana dopo col Perignano quando feci perfino il regista».

Una volta rientrato, ecco l’infortunio col Certaldo che non ci voleva.

«Esatto. Secondo me è stata un po’ una sliding door della stagione sia mia che del Livorno. Vantaggiato era squalificato ed eravamo tornati tre per tre posti. Potevamo riprendere il cammino tecnico di inizio anno e che secondo me era quello giusto per quella squadra, al di là di Bellazzini».

Se le dico Buglio, cosa mi risponde?

«È stato un allenatore che ha fatto giocare il Livorno troppo da Eccellenza, si è adeguato completamente, quando invece serviva provare ad essere fuori categoria. Non è riuscito a fare scelte impopolare, ma allenare quella squadra era quasi impossibile».

Ecco che arriva Angelini e il Livorno vola a marzo.

«Angelini era riuscito a lanciare messaggi di calma e dare un’impostazione di gioco più ragionata. Da Certaldo a fine campionato c’è stato il miglior Livorno della stagione, eravamo tornati a giocare un buon calcio e pensavo di essere ritrovato».

Poi siamo arrivati ai playoff e cosa è successo?

«I nodi sono venuti al pettine, semplicemente. Non avevamo una struttura di gioco e contro il Figline abbiamo sofferto e con la sconfitta ci è sembrato che ci crollasse il mondo addosso. Invece di analizzare gli errori nel dettaglio e rimanere calmi si è tornati alla baraonda pre–Angelini: ansia, pallonate l’obbligo di vittoria che pesava».

Di Angelini cosa ne pensa?

«Fino ai playoff aveva migliorato la situazione e il suo impatto era stato positivo. Poi è andato in difficoltà e non ha avuto la forza di mantenere i concetti che lui stesso aveva portato. Ma ripeto, questa squadra era inallenabile».

Cosa è mancato quindi al Livorno?

«Le idee, come ho già detto. E poi l’ordine all’interno dello staff e della squadra. Non c’era armonia tra le varie componenti. È mancata unione d’intenti, ognuno interpretava le situazioni alla propria maniera. Sono mancate figure che tracciassero la strada giusta e in questi casi ci sta che poi la stagione finisca in modo negativo».

Quindi lei si aspettava la sconfitta di Pomezia?

«Mi sarei stupito se fosse andata nel verso contrario. Poi nel calcio se uno segna il rigore magari il Livorno va anche in Serie D, ma era una sconfitta lo stesso per il percorso che c’era stato. So che la promozione avrebbe cambiato tutto, ma la mia è una provocazione. Se guardiamo le partite contro le prime quattro del nostro girone e nei playoff, contando anche le amichevole col Figline, su 16 partite ne abbiamo vinte 4, qualcosa vorrà dire».

Si aspettava la non conferma di Pinzani?

«Per il legame con il presidente pensavo rimanesse, anche se vista la grand delusione del risultato mi potevo aspettare l’addio».

E il suo di addio?

«Ho avuto dei problemi personali che non mi hanno permesso di chiudere la stagione. Forse l’annata più difficile della mia carriera. La reputo una sconfitta, e mi dispiace».
 

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